L’infarto miocardico non è solo una grave malattia cardiovascolare, esso infatti colpisce l’essere umano nella sua interezza. Il cuore occupa nella coscienza umana una posizione particolarmente significativa: è il motore della vita, l’uomo vive in quanto il cuore batte. Il cuore è anche al centro della vita emotiva, poiché ogni stato d’animo si riflette in un suo particolare modo di battere.
L’infarto mette a dura prova l’integrità psichica della persona, che spesso non si sente più quella di prima; chi torna a casa dopo un infarto deve reintegrarsi nella famiglia rivedendo i rapporti con coniuge e figli, ma anche reinserirsi nel mondo del lavoro e nella società. Deve rinunciare ad alcune abitudini radicate e modificare il suo stile di vita. Tutto ciò richiede un complesso lavoro di elaborazione che se non riuscito, dà origine a un vissuto di sconfitta (“Ero un leone e adesso sono un mezzo gatto”, “Sono da rottamare”).
Si assiste a un cambiamento nella percezione di sé, il doversi riconoscere in un corpo diverso, non più integro; un senso di fragilità si accompagna alla sensazione di non essere più padrone della propria vita.
Le reazioni alla malattia possono essere differenti a seconda dell’individuo: la persona può percepirsi come in pericolo di vita e/o vedere la malattia come un ostacolo che non gli permetterà più di condurre un’esistenza normale. Può comparire il sentimento di valere meno, con ingiustificati sentimenti di inferiorità. Naturalmente tale reazione è mediata dalla personalità e dalla capacità di far fronte ai cambiamenti, come anche dal contesto familiare e sociale in cui si vive.
L’infarto costituisce già di per sé un evento stressante, ma esso può aggravare difficoltà che erano già presenti, quali: problemi familiari, difficoltà sul lavoro e/o finanziarie, isolamento sociale. I rapporti con le altre persone possono diventare difficili, ci si sente deprezzati o non all’altezza della situazione.
Spesso è presente il timore che si verifichi un altro infarto e questo può dare luogo a stati ansiosi o depressivi, a un ritiro tra le mura domestiche per timore di allontanarsi da casa, con conseguente isolamento. Si innesca un circolo vizioso per cui il malato sente che la qualità della sua vita è peggiorata, e questa consapevolezza lo rende vulnerabile e depresso, cosa che fa peggiorare ulteriormente la situazione.
La depressione in genere si manifesta con sentimenti di tristezza e pessimismo, facilità al pianto, difficoltà di concentrazione, perdita dell’appetito, incapacità a stare fermi o al contrario con un rallentamento generale, perdita dell’interesse anche per le cose che prima davano piacere e per le attività quotidiane.
Dopo l’infarto si possono sviluppare sintomi di ansia: preoccupazioni eccessive riguardo alla propria salute, irrequietezza, tensione, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, difficoltà di memoria, tendenza a richiedere attenzione o protezione anche quando non strettamente necessaria.
Anche la rabbia è spesso presente, ci si sente traditi da una parte di sé (il cuore come motore della vita). Come tutte le emozioni la rabbia può essere riconosciuta ed espressa in modo appropriato, permettendo così alla persona di liberarsi dalla frustrazione; diventa invece distruttiva quando viene sfogata sulle altre persone (ad esempio con continui rimproveri).
Tutti questi aspetti sono tipicamente umani e non necessariamente patologici, e spesso si rendono manifesti solo dopo la dimissione dall’ospedale, ma non vi sono dubbi che la loro origine coincida con la fase acuta della malattia.
Le emozioni negative di tristezza, risentimento, rabbia, paura, disperazione, possono essere considerate normali reazioni alla malattia, purché non siano vissute in maniera troppo intensa e per periodi prolungati.
Soprattutto per quanto riguarda i sintomi depressivi, è importante intervenire con un’adeguata cura farmacologica e di supporto psicologico, per evitare che la depressione stessa diventi un ulteriore fattore di rischio.
Il ruolo dei familiari è fondamentale, in quanto trasmettono all’individuo un senso di continuità rispetto al “prima” ponendosi nei suoi confronti in modo rispettoso, e costruendo una nuova relazione che tenga conto dei nuovi adattamenti, ma che conservi le caratteristiche di rapporto con una persona matura. E’ altresì importante che il malato, così come la sua famiglia, si dia il tempo per elaborare l’accaduto.
Quando la malattia viene accettata ed elaborata, l’individuo è in grado di effettuare degli aggiustamenti per poter condurre una vita normale. Alcune persone effettuano una riorganizzazione delle priorità, modificando i ritmi, le attività e rivalutando l’importanza dei rapporti umani, con un atteggiamento più paziente e aperto nei confronti delle persone e della vita in generale.